mercoledì 17 marzo 2010

Il Report dell'osso

Una carezza e uno schiaffo questi i metodi per addestrare "l'animale" ma qualcuno ha fatto male i conti perché noi non lo siamo.

Evidentemente per alcuni basta prodigarsi a fare il report dell' osso per essere considerati fedeli.

E' dal giorno in cui ho scritto questo post che mi domando se certi eventi avrebbero potuto influire sui contenuti dei programmi che li hanno travolti.

Evidentemente si considerando l'esordio della trasmissione condotta dalla Gabbanelli andata in onda domenica su Rai Tre in completo regime di par condicio.

I primi servizi sono chiaramente un'inchiesta sull'impiego di soldi pubblici e sulla collusione tra governo e mafia che risponde al desiderio comune di sconfiggere un cancro che soffoca l'Italia.

Ma utilmente sembra basti parlare di questo per avere la fiducia indiscriminata anche su altri argomenti più importanti.

Ma di fatto non è così perché anche se nel servizio riguardante la crisi si fa cenno alla Fed e alla BCE con un'ottima premessa, si finisce con liquidare il problema attribuendolo a "prestiti che non sono stati restituiti" chiamando in causa le persone che hanno fatto carte false per avere una casa perché non avrebbero potuto fare altrimenti e riducendo la colpa delle banche centrali ad un eccessiva generosità nel prestare i soldi.

Ma davvero si vorrebbe far credere che la crisi nasce dalla gente che non è riuscita a pagare il mutuo, la stessa gente che in Grecia sta protestando perchè rischia di vedere aumentate le tasse sui beni primari e congelati stipendi pubblici e pensioni e della quale si sarebbe dovuto parlare per completezza visto l'attualità della notizia.

Come viene deciso il tasso di interesse e il prezzo del petrolio, chi e come stampa i soldi e della sua sovranità monetaria di questo si è palesemente taciuto.

Per quanto insomma il servizio critichi le banche c'è d'altra parte una velata assoluzione giustificata dal caso.

E adesso divertiamoci un po' anche noi come hanno fatto in tv con questo servizio.


C'è da essere chiari su una cosa nella vita tutti gli esseri viventi hanno un'istinto che gli permette di riconoscere il pericolo quando lo vede al di la della sua condizione cuturale.

E' in base a questa caratteristica che la gente spontaneamente si è ritrovata a studiare e denunciare le scie chimiche e non perché facciano parte di una congrega.

Normali cittadini e quindi anche potenziali telespettatori che negli anni hanno prodotto migliaia di documenti che sapete bene dove andare a trovare.

Persone come me che chiedono solo delle risposte che per quanto ne abbiano diritto non arrivano o meglio le rispettive domande vengono messe ancora una volta sul piano della fede senza dare alcuna spiegazione scientifica.

Anche a Canneto di Caronia il fatto che non sia stato l'eccessivo passaggio di corrente elettrica nei cavi la causa del fenomeno non dimostra scientificamente che gli incendi siano stati causati dolosamente da fiamme libere.

A Canneto di Caronia fra il 2004 e il 2005 ci furono più di 150 roghi dentro e fuori le abitazioni ed anche con la rete elettrica staccata che provoco lo stato di emergenza e di evacuazione di decine di persone per più di otto mesi.

Ora visto che nel servizio si dimostra solo l'unica ipotesi non valida ci dimostri il cicap anche perché non può essere valida l'ipotesi che la causa sia dovuta a microonde.

Siccome si da un valore scientifico alle associazioni di idee allora l'ho fatto anche io quando facendo una superficiale ricerca mi sono imbattuto in armi come ad esempio queste.

Ma a rigor di logica potrebbero spiegarci anche cos'è Haarp.

Anche io sono dalla parte della verità e voglio precisare che ho sempre pensato agli spettacoli di magia illustrati nel servizio come puro illusionismo ma forse gli unici a crederci veramente erano proprio quelli del Cicap che per superare la frustrazione una volta scoperto l'inganno hanno pensato bene di creare la loro campagna contro i mulini a vento perché anche un bambino oggi capirebbe che un fenomeno paranormale è tale fino a quando non ne abbiamo ben compreso la natura.

Siamo ben lontani dalle inchieste sulla Little Pharma e Big Pharma di una volta ma d'altronde quando si abbandonano pezzi per strada cosa si può pretendere.

Cara amica mia non siamo tutti culatoni tanto per abbassarci a questo vile gioco di doppi sensi che si utilizza vigliaccamente per colpire i singoli telespettatori.

Se forse domenica prossima non vedremo quello che la Gabbanelli si augura non sarà certo per colpa di questo blog e spero davvero che non sia invece espressione della logica o questo o niente.


domenica 14 marzo 2010

OGM, il brevetto di Dio

E' di questi giorni la notizia che la Commissione Europea ha deciso di dare il via libera alla coltivazione, per scopi industriali, della patata geneticamente modificata Amflora della compagnia chimica Basf e all'utilizzo di tre specie di mais ogm della Monsanto.

Il provvedimento, di eccezionale importanza, che sembra voler mettere fine ad un embargo precauzionale in vigore da dodici anni, rompe gli indugi un po' troppo superficialmente ed arriva come una doccia fredda in un clima di completa disinformazione e confusione alimentata anche da servizi come questo del tg5 andato in onda il 3 marzo alle 13.00

Nella seconda parte durante le interviste si da' per scontato che gli ogm finiranno prima o poi nei nostri piatti ma forse non è questa una questione di forma ma è proprio che la rassegnazione e la reverenza sono requisiti indispensabili per lavorare in certi ambienti.

Ma andando oltre possiamo notare che in tutto il servizio per quanto si siano sforzati di informarci hanno purtroppo dimenticato di nominare la parola brevetto e tanto meno di spiegarci in che modo si riallaccia agli ogm di certe società che sono il perfetto opposto dei cibi biologici.

La ricerca è assodato deve andare avanti indipendentemente e senza troppi impedimenti ma le modalità con le quali vengono impiegate le scoperte riguardano tutti noi nel caso in cui ci fosse solo il minimo sospetto che possano nuocere alla salute umana.

La patata generalmente ha un alto contenuto di amido composto per il 20% di amilosio e per l'80% di amilopectina. Quest'ultima viene utilizzata per la produzione di carta, adesivi e nell'industria tessile sfruttando la sua caratteristica di addensante.

Non sono ne chimico ne biologo ma ho appreso queste nozioni proprio dal sito della Basf dove dicono che nella patata Amflora il gene dell'amilosio viene disattivato perché gelificando rallenta i processi industriali richiedendo un lungo pretrattamento.

Il risultato è una patata il cui amido è formato al 100% da amilopectina.

Quello che non viene detto sul sito è che per raggiungere questo scopo è stato utilizzato un gene marcatore chiamato nptII che conferisce resistenza a due antibiotici aminoglicosidici, la kanamicina e la neomicina e che, come affermano Adiconsum Coldiretti e ricercatori, questa resistenza potrebbe essere trasferita alla flora batterica dell'intestino umano se ci nutrissimo di animali a cui è stato dato come mangime la patata Amflora ed è proprio questo il secondo utilizzo previsto nella richiesta fatta dalla Basf all'UE come si legge sempre nel loro sito.

E' proprio l'Efsa affermando che "la probabilità che il gene nptII si trasferisca dalla pianta ai batteri è molto bassa" ad ammettere indirettamente che il rischio c'è.

Quest' ogm inoltre viene venduto senza intermediari direttamente agli agricoltori con i quali stipulano un contratto in cui si attua un "sistema di conservazione d'identità" che segue il prodotto dalla coltivazione alla raccolta, un vero e proprio copyright.

In tutto questo, considerando il susseguirsi di proclami buonisti in questi giorni, non riesco davvero a trovare un elemento che sia utile per aiutare a combattere la fame nel mondo a meno che i popoli sfruttati e affamati non inizino a nutrirsi di carta dopo aver aspettato il tempo necessario affinché scada il brevetto.

Ancora una volta si sfrutta la sensibilità della gente per giustificare l'introduzione di un prodotto che non solo arricchirà esclusivamente chi lo produce ma introdurrà come un cavallo di troia l'idea che l'ignoto dal quale proveniamo possa diventare proprietà di qualcuno solo perché ha avuto l'idea di modificarne un pezzo.

Non si può non nutrire qualche timore visto i precedenti di altre società come la Monsanto e del suo seme terminator e la sempre maggiore diffusione di intolleranze alimentari di cui alcune gravi come la celiachia che alimentano il presentimento che qualche modifica genetica abbia già fatto i suoi danni.

Ancora nulla è definitivo visto che la stessa Commissione Europea ha anche annunciato l'intenzione di presentare entro l'estate una proposta per far decidere liberamente ai singoli Stati membri se coltivare o meno OGM sul proprio territorio.

A tal proposito importante è la posizione del ministro delle politiche agricole Luca Zaia che ha espresso l'intenzione di avviare la procedura per richiedere alla Commissione europea la clausula di salvaguardia con cui bloccare la commercializzazione e la coltivazione della patata ogm nei nostri territori.

giovedì 4 marzo 2010

Par condicio?

E' leggitimo alimentare la polemica quando si assiste impotenti al completo ribaltamento del concetto di par condicio che negli anni è stato gradualmente e volutamente frainteso fino a generare in questo periodo elettorale la soppressione di alcuni programmi televisivi.

Ma parità di trattamento non è certo associabile a nessun trattamento.

A riguardo ho trovato questo ottimo scritto dal sito www.difesadellinformazione.com


LA PAR CONDICIO

Obiettività e completezza sono i criteri cui deve ispirarsi l’informazione. Essi sono menzionati in ogni legge che si è incaricata di disciplinare in maniera organica il sistema radiotelevisivo. A partire dalla L. 14 aprile 1975 n. 103, passando attraverso la L. 6 agosto 1990 n. 223 (“Legge Mammì”) e la L. 3 maggio 2004 n. 112 (“Legge Gasparri”), fino ad arrivare al D.Lgs. 31 luglio 2005 n. 177 (“Testo Unico della radiotelevisione”), tali criteri caratterizzano il sistema radiotelevisivo quale “servizio di preminente interesse generale”. E, logicamente, la piena osservanza di questi criteri garantisce il rispetto del requisito della verità, il caposaldo del diritto di cronaca.

Ma negli anni ’90 ha fatto la sua comparsa un concetto destinato a complicare non di poco la questione: il concetto di par condicio. Come è noto, riguarda l’accesso di tutti i soggetti politici al mezzo radiotelevisivo in condizioni di parità, in modo da garantire a ciascuna forza rappresentata in Parlamento la medesima possibilità di comunicare con il pubblico. Una questione postasi con urgenza a seguito della materializzazione di un macroscopico conflitto di interessi: quello di Silvio Berlusconi. Da un lato, fondatore e capo di una forza politica cospicuamente rappresentata in Parlamento. Dall’altro, proprietario di tre reti televisive nazionali che quotidianamente trasmettono Tg, programmi di comunicazione politica e di approfondimento informativo senza sottostare ai poteri della Commissione Parlamentare di Vigilanza, istituita con la L. n. 103/1975, che controlla solo la concessionaria pubblica Rai.

Tecnicamente il concetto di par condicio non ha nulla a che vedere con il diritto di cronaca, perché è estraneo al concetto di informazione. Nata, in osservanza del pluralismo, per garantire a tutte le forze politiche eguali possibilità di comunicare con gli elettori, la par condicio riguarda il rapporto tra forze politiche ed elettori, ossia la comunicazione politica. Non invece quel rapporto, mediato dalla figura del giornalista, tra fatto e collettività che è alla base dell’informazione. “Informazione” e “comunicazione politica” sono due realtà opposte. La differenza è evidente sia nel soggetto generatore che nell’oggetto. Con l’informazione, che è generata dal giornalista, si porta a conoscenza della collettività un fatto. Con la comunicazione politica, che è generata dal soggetto politico, si cerca di convincere l’elettore della bontà del proprio modo di governare il paese, comunicandogli una valutazione, di parte, che come tale divergerà da quella del politico appartenente a diversa area. Ciò in quanto lo scopo della comunicazione politica non è di informare il telespettatore, ma di orientare la scelta dell’elettore.

Ed essendoci diversi modi di concepire la gestione di uno Stato democratico, ecco che il tentativo di convincere gli elettori a votare per una forza politica piuttosto che per un’altra logicamente può essere regolato da un principio di parità nell’accesso ai mezzi di comunicazione. Ne consegue l’utilità e l’opportunità della par condicio nella comunicazione politica, ma la sua ontologica inapplicabilità all’informazione. Esistendo il fatto necessariamente nella sua unicità, esiste una sola verità. Una verità di per sé garantita da un’informazione obiettiva, completa, imparziale. La par condicio applicata all’informazione finisce per fuorviare il pubblico, allontanandolo dalla verità.

La differenza tra informazione e comunicazione politica si scorge anche in vari passaggi della L. n. 28/2000, che impone la par condicio nei programmi di comunicazione politica a prescindere dal periodo in cui vengono trasmessi, e detta regole per l’informazione nel periodo elettorale. L’art. 1 impone “parità di condizioni nell’esposizione di opinioni e posizioni politiche, nelle tribune politiche, nei dibattiti, nelle tavole rotonde, nella presentazione in contraddittorio di programmi politici, nei confronti, nelle interviste e in ogni altra trasmissione nella quale assuma carattere rilevante l’esposizione di opinioni e valutazioni politiche”. Ma al tempo stesso specifica che la norma non si applicaalla diffusione di notizie nei programmi di informazione”.

Per i programmi di informazione l’art. 5 detta regole solo per il periodo di campagna elettorale. Durante questo periodo “è vietato fornire, anche in forma indiretta, indicazioni di voto o manifestare le proprie preferenze di voto”; registi e conduttori devono tenere “un comportamento corretto ed imparziale nella gestione del programma, così da non esercitare, anche in forma surrettizia, influenza sulle libere scelte degli elettori”.

E’ dunque la legge stessa a riferire la par condicio soltanto alla comunicazione politica, limitandosi invece ad impedire che nei programmi di informazione, durante la campagna elettorale, vengano date indicazioni di voto e a sottolineare l’esigenza di imparzialità dei loro conduttori.

Tuttavia, va detto che nella pratica normativa si è imposta una distorsione del concetto di informazione, che ha portato ad una sua assimilazione alla comunicazione politica, con la conseguenza di estendere all’informazione le regole della par condicio addirittura per il periodo non elettorale. Principali responsabili di ciò sono proprio i due organi incaricati di vigilare sulla correttezza dell’informazione e sul rispetto della par condicio. Per la Rai, la Commissione Parlamentare per l’Indirizzo Generale e la Vigilanza dei Servizi Radiotelevisivi; per le reti private, l’Autorità per la Garanzia nelle Comunicazioni (“Authority”).

Con Provvedimento 18 dicembre 2002 la Commissione di Vigilanza, oltre a dettare specifiche regole per la comunicazione politica, ha stabilito all’art. 11 (sotto la dicitura “Informazione”) che “ogni direttore responsabile di testata è tenuto ad assicurare che i programmi di informazione a contenuto politico parlamentare attuino un’equa rappresentazione di tutte le opinioni politiche assicurando la parità di condizioni nell’esposizione di opinioni politiche presenti nel Parlamento nazionale e nel Parlamento europeo”. Il senso è chiaro. Il conduttore di un programma di approfondimento informativo, laddove verte su fatti politicamente rilevanti, è sostanzialmente costretto ad invitare politici di ogni schieramento, delegando così il compito di informare la collettività sulla gestione della cosa pubblica a persone tutt’altro che imparziali.

Di gran lunga peggiore è il Provvedimento 11 marzo 2003 della stessa Commissione di Vigilanza, il cui art. 1 statuisce che “Tutte le trasmissioni di informazione – dai telegiornali ai programmi di approfondimento – devono rispettare rigorosamente, con la completezza dell’informazione, la pluralità dei punti di vista e la necessità del contraddittorio”. Ciò in nome di un “pluralismo […] che deve essere rispettato dalla azienda concessionaria nel suo insieme e in ogni suo atto, nonché dalle sue articolazioni interne (divisioni, reti e testate), e deve avere evidente riscontro nei singoli programmi”.

La tendenza è proseguita a livello di legge ordinaria. Dapprima con l’art. 6, comma 1° lett. c), L. n. 112/2004 (“legge Gasparri”), poi con l’art. 7, comma 2° lett. c), D.Lgs. n. 177/2005 (“Testo Unico della radiotelevisione”). Entrambe le disposizioni recitano testualmente: “La disciplina dell’informazione radiotelevisiva, comunque, garantisce […] l’accesso di tutti i soggetti politici alle trasmissioni di informazione e di propaganda elettorale e politica in condizioni di parità di trattamento e di imparzialità”.

Dal canto suo, l’Authority ha fatto proprie queste regole nel 2006, anche con riferimento al periodo non elettorale, estendendole alle emittenti nazionali private. La Delibera n. 22/06, dopo aver premesso che “l’attività di informazione televisiva […] deve garantire […] l’accesso di tutti i soggetti politici alle trasmissione di informazione e di propaganda elettorale e politica in condizioni di parità di trattamento e imparzialità” (quindi riportando fedelmente quanto già stabilito dalla “legge Gasparri” e dal Testo Unico), all’art. 1, comma 2°, impone “l’equilibrio delle presenze” nei programmi di informazione e di approfondimento.

Dunque, mentre la L. n. 28/2000 pone sì vincoli ai programmi di informazione, ma soltanto in campagna elettorale e comunque mai consistenti in una applicazione della par condicio, sotto la vigenza di tale legge la Commissione di Vigilanza e l’Authority, operando una evidente forzatura del dato normativo, hanno esteso le regole della par condicio all’informazione addirittura in periodo non elettorale. Obiettività, completezza, imparzialità non bastano più nei programmi di informazione. Occorre sempre per dirla con la Commissione di Vigilanza il “rigoroso rispetto” della “pluralità dei punti di vista e la necessità del contraddittorio” persino nei telegiornali, nonostante l’art. 1, comma 2°, L. n. 28/2000 vieti espressamente l’applicazione delle disposizioni sui programmi di comunicazione politica “alla diffusione di notizie nei programmi di informazione”.

Con la successione ora vista di leggi e provvedimenti, la distorsione del concetto di informazione raggiunge il culmine. Si arriva ad applicare ai programmi di informazione (che hanno il compito fare emergere la verità) gli schemi della comunicazione politica (dove ciascuno dei contendenti illustra al pubblico la “propria” verità), in nome di un pluralismo il cui significato viene qui completamente frainteso.

Se infatti il pluralismo politico, correttamente inteso, vuole che il sistema radiotelevisivo testimoni e illustri obiettivamente le diverse realtà politiche operanti nel paese, qui accade paradossalmente che l’attuazione del pluralismo, erroneamente inteso, va a scapito della verità. Questa non può emergere se l’informazione viene forzatamente basata non sul fatto obiettivo, ma sulle opposte interpretazioni che di esso forniscono parti portatrici di interessi contrapposti. E’ come pensare di fare emergere la verità in un processo basandosi esclusivamente sulle argomentazioni degli avvocati delle parti, anziché sulle prove.

Tra l’altro, la stessa L. n. 28/2000, tuttora in vigore, mostra chiaramente come la comunicazione politica vada concentrata soprattutto in campagna elettorale. Secondo l’art. 5, comma 4°, nel periodo che va dalla convocazione dei comizi elettorali alla chiusura delle operazioni di voto, “nelle trasmissioni informative riconducibili alla responsabilità di una specifica testata giornalistica […] la presenza di candidati, esponenti di partiti e movimenti politici, membri del Governo, delle giunte e consigli regionali e degli enti locali deve essere limitata esclusivamente all’esigenza di assicurare la completezza e l’imparzialità dell’informazione”, presenze tassativamente vietate “in tutte le altre trasmissioni”. Ciò significa che in campagna elettorale le apparizioni televisive dei politici vanno viste prevalentemente in un’ottica di comunicazione politica.

Da quest’ultima norma emerge che la legge privilegia la comunicazione politica rispetto all’informazione soltanto nel periodo di campagna elettorale. In periodo non elettorale, deve essere l’informazione a prevalere sulla comunicazione politica. La conclusione è logica. In periodo non elettorale, la collettività va informata compiutamente sui fatti, sui risultati della politica. Durante la campagna elettorale, invece, deve darsi a ciascuna forza politica la possibilità di “fare un proprio bilancio” di quanto accaduto e appreso dalla collettività attraverso l’informazione; e cercare di convincere l’elettorato a “tirare le somme” secondo le valutazioni di ciascuna forza politica.

Da tutto ciò consegue che i provvedimenti emanati dagli organi preposti al controllo del sistema radiotelevisivo, laddove assimilano l’informazione, sempre e comunque, alla comunicazione politica, vanno ritenuti illegittimi. E le norme di legge, contenute nella “Gasparri” e nel Testo Unico, nella misura in cui impongono, sempre e comunque, l’applicazione della par condicio all’informazione, tanto da assimilarla alla comunicazione politica, sono in forte odore di incostituzionalità per contrasto con l’art. 21 Cost. I primi andrebbero disattesi e contrastati dinanzi al Tar in caso di applicazione di sanzioni da parte degli organi di controllo; le seconde, in attesa e nella speranza di un intervento correttivo della Corte Costituzionale, andrebbero quantomeno interpretate in maniera tale da salvaguardare il più possibile la libertà di informazione, negando decisamente l’assimilazione dell’informazione alla comunicazione politica.